Università della crisi

CRISI DELL’UNIVERSITA’? NO, UNIVERSITA’ DELLA CRISI!

L’università, soprattutto in un periodo di crisi, è di fatto una delle tantissime modalità di riproduzione dell.ideologia dominante, ovvero il pensiero mainstream, l’unico ritenuto socialmente e “scientificamente” accettabile.

Basta iscriversi e iniziare a frequentare qualche mese uno qualsiasi dei corsi dell’offerta formativa per farsi un’idea di come la conoscenza viene tramandata: manuali nozionistici scanditi in capitoli, spesso non in continuità concettuale l’uno con l’altro (esempio su tutti delle “bibbie” scientifiche: l’Atkins di Chimica), lezioni frontali soporifere e dense di nozioni,lezioni-esami-tirocinio-tesi-seminari che si susseguono senza soste, professori che concedono l’ottima “opportunità” di prestare lavoro gratis (stage, tirocini, internati, prestiti d’onore) solo a chi prende un bel voto al suo esame…

La riproduzione del sapere tramandata secondo questi schemi diviene non solo sacrificante della visione d’insieme sullo scenario scientifico-storico-tecnologico odierno e del passato – visione che permetterebbe quanto meno di avere in mano le basi per lo sviluppo di una cultura personale e collettiva non dequalificata e critica della realtà – ma rende anche possibile operare una selezione dei “migliori” in base a criteri di “merito” e “produtività” non dissimili da quelli di un’industria.

Tutto questo in favore di un sistema di riproduzione ideologica che, mediante la parcellizzazione (il c.d. “3+2+n”) , la specializzazione e la dequalificazione del sapere e del lavoro, ci rende difficile l’accesso alla cultura e pone noi studenti e futuri lavoratori in una posizione di maggiore ricattabilità, tanto nel sistema universitario, quanto nel mondo del lavoro.

Si inizia a delineare all’università il terreno fertile per la formazione di un’esercito di disoccupati o di obbedienti lavoratori precari ricattiabili, sfruttati e senza diritti, e questo in un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando, è diretta conseguenza della necessità del capitalismo di arginare le perdite e continuare a rimpinguare le tasche dei soliti noti.

Tutto questo senza dimenticare che le logiche che stanno dietro sia alla riproduzione ideologica che alle riforme che si sono susseguite in materia di università, rispondono alla stessa logica di quella che sta dietro all’attacco generalizzato allo stato sociale, portato avanti da governi di destra e di sinistra. Tale attacco è scientificamente studiato: far fronte alla crisi vuol dire scaricare i costi della crisi su lavoratori, studenti e, in generale, sulle fasce sociali subalterne, per permettere alla classe padronale di conservare i profitti.

L’UNIVERSITA’ DI CLASSE

L’università si costituisce anche come strumento di selezione di classe.

Gli sbarramenti all’entrata come test di autovalutazione e di ingresso di fatto pongono gli studenti in una posizione di disparità reciproca, per quanto riguarda il livello di preparazione, legata a doppio filo con l’estrazione sociale di provenienza.

La stessa esistenza delle tasse, nonché l’introduzione in sempre più corsi di laurea del voto minimo per l’accesso alle magistrali e dottorati (che di fatto equipara il voto di 24 al 18) di fatto si configurano come una delle espressioni del classismo del sistema università.

Quanti studenti sono in grado di sostenere economicamente e temporalmente il ritmo disumano lezioni-esami-tirocinio-tesi-seminari-internati-burocrazia universitaria e riuscire a laurearsi nei 3+2 anni previsti ed essere quindi “meritevoli” e “produttivi”, quando magari lavorano per mantenersi gli studi o provengono da fasce sociali che trovano sempre più difficoltà nel reperimento delle risorse economiche per le spese sempre crescenti?

Qualcuno potrebbe dire: ma ci sono le borse di studio e i contributi affitto!

Anche queste agevolazioni non vengono fornite senza in cambio qualcosa: il “merito” e la “produttività” (voto medio e n°CFU accumulati per anno).

Questi criteri, spesso impossibili da rispettare, ad esempio per uno studente lavoratore, mettono a nudo in realtà la natura classista delle modalità di accesso e prosecuzione dello studio universitario.

 Poche illusioni comunque: se anche uno studente riuscisse a soddisfare quei criteri, il taglio del 95% delle borse di studio varato dal ministro Gelmini e Tremonti produrrà, già da quest’anno e nell’intero paese, liste lunghissime di idonei non beneficiari per mancanza di fondi.

Anche sul fronte tasse si prevedono aumenti generalizzati: la spending review (un piano di 26 miliardi di tagli della spesa pubblica in 3 anni), varata dal governo Monti, si inserisce in diretta continuità con le politiche dei governi precedenti. Sul piano formale un aumento delle tasse universitarie dal 25% al 100% per i fuori-corso; è palese la natura classista di tale provvedimento (si pensi ai numerosi studenti fuoricorso perchè costretti a lavorare per mantenersi gli studi e/o una vita da fuorisede).

NELLO SPECIFICO:

Le tasse dei fuoricorso verranno conteggiate a parte rispetto alle tasse degli studenti in corso. Per legge ogni università può imporre all’insieme degli studenti un corrispettivo pari al 20% del fondo di finanziamento ordinario. Qui sta la fregatura: di fatto riducendosi la base a cui viene applicato il il prelievo tributario, ci sarà un aumento generalizzato delle tasse universitarie, quindi anche per gli studenti ancora in corso .

E’ cosi che si palesa la natura classista delle tasse che le ultime misure non fanno altro che amplificare.

 Aumentano anche le tasse regionali per il diritto allo studio: sono stare portate per adesso a 140 euro annui in tutti gli atenei (Firenze: aumento del 43%).

Nella nostra città lo smantellamento del diritto allo studio passa anche per la privatizzazione di ATAF: il diritto alla mobilità, ovvero la possibilità di raggiungere le sedi universitarie, è parte integrante del diritto allo studio.

Tagliando linee e paventando aumenti del biglietto (da 1,20 a 1,50), si preclude, anche agli studenti, il diritto ad usufruire di un trasporto di qualità ed avulso da logiche di mercato.

L’UNIVERSITA’ AZIENDA

Le riforme degli ultimi 20 anni, dall’istituzione del sistema universitario 3+2+n (comprendendo master, dottorati etc.), passando per il processo di Bologna e la riforma Tremonti Gelmini, fino al “pacchetto Profumo”, non hanno fatto altro che applicare il modello produttivo aziendale all’università.

L’interiorizzazione del criterio di produttività ha causato un abbassamento del livello qualitativo degli studi universitari, avendo posto lo studente di fronte a ritmi di studio quasi insostenibili data la scansione dei tempi corso-esame e la quantità di esami da sostenere. La logica (di mercato) che c’è dietro è quella de “il tempo è denaro”: non importa la qualità dello studio, ma la mera quantità. Tale sapere parcellizzato trova spinta all’approfondimento solo in direzione di una qualità prettamente funzionale agli interessi dei privati: tirocinanti non retribuiti e/o sottopagati lavorano soprattutto in quei settori ritenuti più redditizi.

Tutto questo si inserisce nella pervasiva propaganda sulla “meritocrazia”: in base al voto e al numero di crediti accumulati in un anno, si seleziona gli studenti “meritevoli” mettendo ogni studente in competizione con il prossimo nella conquista di voti alti e quindi nell’accesso ai “tirocini giusti”.

 La cooptazione, ovvero il meccanismo con il quale si è selezionati per entrare a far parte dell’élite accademica, e che tutti i giorni noi studenti vediamo in atto nella selezione da parte di professori e strutture di ricerca degli studenti in base ai tanto decantati criteri di “merito” e “produttività”, si configura essenzialmente come un sistema di competitività individuale in cui ogni briciola strappata, in cambio spesso di una “gavetta” fatta di lavoro non retribuito presso lo studio di qualche professore o presso un’azienda privata, può servire nel futuro.

Tantissime sono ormai le strutture di ricerca che per quasi la totalità del lavoro di laboratorio sfutta tirocinanti non pagati, lavoratori sottopagati e senza garanzie (contratti a progetto, contratti di collaborazione occasionale) per abbassare i costi della produzione tenconologica, che come tutti i settori sta subendo la crisi.

 Se davvero poi si arriverà all’abolizione del valore legale del titolo di laurea (che di fatto viene reso di scarso valore rispetto agli altri riconoscimenti conseguiti durante la carriera universitaria , soprattutto per quanto riguarda i criteri d’accesso ai concorsi pubblici), il sistema cooptativo sarà portato a regime. Si arriverà all’inasprirsi della guerra fra atenei di serie A e di serie B e fra i dipartimenti dello stesso ateneo per accaparrarsi gli studenti “meritevoli”. Gli studenti, sia nei poli di “eccellenza” che nei poli di serie “B”, infatti, per poter affacciarsi al mondo del lavoro con maggiori garanzie, sempre in relazione di competitività con gli altri, saranno costretti ad aggiungere al carico di lavoro per conseguire la laurea le energie e le risorse da predisporre per corsi di formazione supplementari, tirocini etc..

L’università-azienda, mediante il sistema della cooptazione interna, lo smantellamento del diritto allo studio e l’interiorizzazione dei criteri di “merito” e “produttività” si struttura pertanto come un laureificio in grado di riprodurre ideologicamente la cultura dominante, di rilanciare soltanto i settori scientifico tecnologici ritenuti produttivi e di “sfornare” forza lavoro obbediente, precaria e ricattabile.

E’ necessario quindi riportare nell’università quelle che sono le nostre esigenze e le nostre rivendicazioni, sviluppando legami di solidarietà che ci permettano di resistere all’offensiva e alla repressione di questo sistema.

Rivendichiamo un ruolo sociale dell’università, di emancipazione e di innalzamento culturale dell’individuo: ben consci che nel capitalismo questo non ci verrà mai concesso.

CONTRO SFRUTTAMENTO, COOPTAZIONE, UNIVERSITA’ AZIENDA E MERCIFICAZIONE DEL SAPERE!

PER UNIVERSITA’ E SERVIZI PUBBLICI GRATUITI LIBERI E DI MASSA!

I DIRITTI NON SI MERITANO SI CONQUISTANO!