#12APRILE: TUTTI A ROMA! UNITI E INFLESSIBILI CONTRO IL JOBS ACT!


Per un 12 Aprile contro Governo Renzi, riforma del lavoro, precarietà e disoccupazione

Cosa sta succedendo in questi giorni? Chi rappresenta il Governo Renzi? Perché è stato messo lì? E che cos’è questo Jobs Act? Questo si chiedono milioni di persone in tutto il paese. E a questo dobbiamo dare una risposta, una ragione di lotta, una prospettiva.

È infatti evidente che, al di là della retorica spicciola della “rottamazione” e del “nuovo”, il Governo Renzi non ha niente a che vedere con le nostre esigenze. Ha invece un compito ben preciso: portare a termine l’agenda di coloro che l’hanno preceduto, dei vari Berlusconi, Monti, Letta. Questi non erano riusciti, sia per contrasti interni alla borghesia e ai vari partiti politici che la rappresentano, sia per paura di generare una risposta sociale di massa, a fare tutte quelle “riforme” che servono al capitalismo italiano per ricominciare a fare profitti e uscire dalla crisi.

Renzi è stato il nome, giovane e accattivante, su cui le diverse classi dominanti del nostro paese si sono accordate per sbloccare l’impasse, fare un salto di qualità complessivo e dare una nuova accelerazione ai processi di ristrutturazione del mercato del lavoro già abbozzati negli anni passati (riforma delle pensioni, riforma Fornero, accordo sulla rappresentanza etc). Con Renzi i padroni, sia italiani che europei, si sono giocati una carta importante per tutelare e rinforzare i loro interessi.

Ecco perché questo governo si deve caratterizzare come quello del “fare”, della “decisione”, quello che non ha tempo e tira dritto. Bisogna giungere, nel più breve tempo possibile, ad abbassare i salari, a tagliare il costo del lavoro, a rendere i lavoratori sempre più ricattabili, i precari sempre più precari, i disoccupati sempre più pronti ad accettare tutto. Quello che il padronato italiano sta sognando è un proletariato privato di qualsiasi forma di autonomia e di rappresentanza dei propri interessi, ancora più sfruttabile – si chiami “Legge Treu”, “Legge Biagi”, “Riforma Fornero” o “Jobs Act” si è trattato sempre di una altro tassello nella lotta di classe “al contrario” che prosegue nei confronti di chi lavora, o vorrebbe… e si vede espropriato/derubato dal rispettivo padrone –, che garantisca con la sua massima obbedienza condizioni di profittabilità tali da far “ripartire l’economia”, ovvero un nuovo ciclo di accumulazione per chi ha capitali da investire e ulteriore miseria per chi vive vendendo la sua forza-lavoro.

È in questo quadro che si inserisce il cosiddetto Jobs Act, il nuovo piano del lavoro. Approfittando della sensibilità che hanno milioni di persone, e soprattutto di giovani, Renzi proclama di voler favorire, semplificandolo, l’accesso al mercato del lavoro. Ma è davvero così? A quasi vent’anni dall’introduzione dei primi “contratti precari” vediamo che questi sono serviti solamente a tagliare i salari e a peggiorare le condizioni di lavoro, senza creare neppure un posto in più! Hanno prodotto invece una massa di persone non tutelate, a totale disposizione dei padroni, che entrano con molta più fatica nel mondo del lavoro e ne escono più facilmente…

Insomma, anche a un primo sguardo quello che si cela dietro questa riforma è l’ennesimo attacco alle nostre condizioni di vita e di lavoro. Attacco che con tutta probabilità non sarà sferrato in un’unica battaglia campale, ma attraverso una serie di decreti che costituiscono le tappe graduali di un riassetto complessivo. Detto in altri termini: il Governo butta sul piatto mille proposte, fa confusione, e si giova di questa confusione per far passare una riforma del mondo del lavoro a botte di singole votazioni, cercando volta per volta un accordo sui vari punti, e impedendoci così di vedere il quadro d’insieme e di mobilitare tutte le nostre forze per opporci.

L’approvazione, qualche giorno fa, del primo decreto di legge, il 34/14, sembra concentrarsi infatti solo sulla “flessibilità in entrata” e sui “giovani”. Facilita l’uso da parte dei padroni dei contratti a termine (alzando da 12 a 36 mesi la loro durata, consentendo di rinnovare questo tipo di contratti fino a 8 volte, ed eliminando la causale, ovvero l’obbligo di spiegare il perché della temporalità del rapporto di lavoro). Ma il decreto elimina anche tanti vincoli dei contratti di apprendistato, e rischia di farci diventare apprendisti a vita. L’obiettivo evidente è precarizzare ulteriormente l’ingresso nel mondo del lavoro e spingere ancora più in basso i salari. Renzi spera di ottenere questo risultato dividendo il proletariato, e tenendo buoni i lavoratori già strutturati, che potrebbero fare casino portando avanti le istanze di precari e disoccupati, promettendogli qualche decina di euro in più in busta paga.

Inoltre, non va dimenticato che le riforme del lavoro, cioè l’attacco organizzato per vie istituzionali alle classi subalterne, vanno di pari passo con quelle dell’istruzione. Cogliere il nesso tra le due, significa trovare quell’anello di congiunzione che le lega indissolubilmente, attraverso la cosiddetta formazione permanente, la necessità che ha il padronato di imporre la “cultura del mercato” per permeare il singolo individuo fin nel suo intimo con lo scopo di renderlo “più competitivo” – cioè “produttivo” -, più individualista: in poche parole, più isolato e timoroso nel relazionarsi con chi condivide le stesse problematiche. La formazione permanente è un meccanismo che abbassa, di fatto, la soglia dei salari corrisposti e riesce, allo stesso tempo, a far svolgere identiche mansioni a lavoratori che poi ricevono corrispettivi diversi. Una bella divisione tra “privilegiati” e “aspiranti privilegiati”, dove il “privilegio” sarebbe qualche briciola in più, dipendente da “certificati”, “crediti” o “titoli”, che il lavoratore deve in qualche modo acquisire e quindi acquistare a proprie spese: dalla prima elementare, all’università, al posto di lavoro si tratta quindi di dimostrare e certificare la propria predisposizione a farsi schiacciare il più possibile rendendosi competitivi al massimo.

Il secondo aspetto dell’attacco di Renzi è quello della “flessibilità in uscita”, che riguarda la parte più strutturata del mondo del lavoro. Il Consiglio dei Ministri ha approvato infatti anche un disegno di legge delega al Governo che affronta la riforma degli ammortizzatori sociali, a partire dalla progressiva scomparsa della cassa integrazione in deroga e una forte restrizione della cassa integrazione speciale. Non solo: il Governo non esclude un nuovo intervento sull’articolo 18, la cui abolizione permetterebbe di buttare fuori dalle aziende tutti quei lavoratori che, pur se assunti a tempo indeterminato, si ostinano a protestare o a esprimere pareri diversi da quelli aziendali (senza considerare che il padronato potrà licenziare chi ha contratti a tempo indeterminato con salari da contratto per assumere apprendisti usa e getta con salari notevolmente inferiori…). Anche qui Renzi spera di ottenere questo risultato dividendo il proletariato: tenendo stavolta buoni i precari e i disoccupati con l’introduzione di una nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASPI) che, mentre cerca di comprare con qualche spicciolo il consenso di alcune categorie di lavoratori precari ora sprovviste di ogni sussidio di disoccupazione, sopprime la Cassa Integrazione, che rappresenta per i padroni un elemento di “rigidità”, perché tiene uniti i lavoratori licenziati e obbliga i datori di lavoro a riassumerli se la crisi aziendale dovesse finire… Una volta modificati gli ammortizzatori sociali, è chiaro che la precarietà in ingresso non riguarderà più solo i giovani precari, ma l’intera forza-lavoro!

Ecco il quadro complessivo di una “riforma” di cui ora vediamo solo il primo atto! E in questo quadro la sfida che abbiamo davanti è quella di rispondere al tentativo di scomposizione che la borghesia italiana mette in atto con una nuova unità fra disoccupati e occupati più o meno precari!

Ma c’è di più. Per racimolare consenso Renzi punta anche il dito contro i parametri europei: dice che per ripartire bisogna sforarli. Quello che non dice è che lui non lo farà mai: la borghesia che Renzi rappresenta è parte integrante dell’Unione Europea, ha in Mario Draghi un suo punto di riferimento, e si prepara con la spending review a licenziare e a tagliare ulteriormente la spesa sociale. D’altra parte Renzi deve dare il buon esempio in vista dell’apertura del semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea, che comincerà a luglio, la cui inaugurazione dovrebbe essere anticipata proprio da un vertice internazionale sulla disoccupazione giovanile. Proprio nel vertice e durante il semestre italiano si cercherà un’armonizzazione fra le politiche del lavoro a livello europeo. In chiave antiproletaria, ovviamente…

Insomma, che si guardi all’Italia o all’Europa, si vede che le classi dominanti non hanno tempo da perdere, vogliono subito arrivare al mercato del lavoro da loro desiderato. Ma se loro non hanno tempo, noi ne abbiamo ancora meno! Il momento di organizzarsi è qui ed ora, nessuno ormai può salvarci se non noi stessi. Il 12 aprile ci sarà a Roma una grande manifestazione nazionale, che continua i discorsi iniziati il 19 ottobre, in cui quasi centomila persone scesero in piazza per i loro bisogni, dalla casa al lavoro, dalla sanità all’istruzione, dai trasporti ai servizi sociali. Per questo facciamo appello a tutti i lavoratori più o meno precari, a tutti i disoccupati, gli studenti, i giovani, gli italiani e gli immigrati, a scendere in piazza e a opporsi a questo piano del Governo Renzi e dell’Unione Europea, costruendo uno spezzone contro Jobs Act, precarietà e disoccupazione.

Resistiamo a quest’attacco, prepariamo l’offensiva!
Uniti e inflessibili contro il Jobs Act!

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